La roggia dei mulini

Ultima modifica 5 ottobre 2023

LA ROGGIA DEI MULINI LUNGO IL RIO RIN

Il Cadore, fino agli inizi di questo secolo, presentava vari opifici al cui interno vi erano macchine ad acqua che sfruttavano in modo diverso l'energia ottenuta per mezzo di un impianto idraulico.
Lungo il corso del Rio Rin a Lozzo di Cadore si svilupparono nei secoli numerose attività artigianali. Come risulta dalle "Anagrafi Venete" del 1766, a Lozzo vi erano: dieci ruote da mulino da grani, una sega da legname, un follo da panni di lana, sedici "telari" da tela e cinque mole.
Per tale motivo la "roggia dei mulini" è sicuramente uno degli esempi più interessanti d'archeologia industriale presente sull' intero territorio cadorino, in quanto vi si possono trovare gran parte delle attività preindustriali legate allo sfruttamento della forza idraulica ed il loro modificarsi nel tempo. (galleria immagini a fondo pagina)

 
LOZZO DI CADORE

Lozzo di Cadore è un piccolo paese della provincia di Belluno, poco più di 1500 abitanti, che dista circa 50 Krn dal capoluogo. Si trova nelle Dolomiti, ad un'altitudine di 756 m.s.l.m. Il territorio comunale, ricco di boschi, è circondato da imponenti gruppi montuosi; a lato del paese scorre il Rio Rin, mentre nel fondovalle il fiume Piave. Lungo le rive del Piave e dei suoi affluenti nacquero e si svilupparono varie attività. La roggia dei mulini lungo il Rio Rin ne è un esempio, uno dei pochi rimasti, che testimonia la diffusione in Cadore di una realtà produttiva legata allo sfruttamento dell'acqua, sia come forza motrice, sia come mezzo di trasporto.
Lozzo di Cadore subì vari incendi, l'ultimo dei quali nel 1876; questo spiega la scarsa presenza del legno nelle abitazioni, pur essendoci delle eccezioni, ed il preponderante utilizzo della pietra.
Oltre agli incendi fu colpito dalle alluvioni del 1882 e del 1966, che interessarono in particolar modo la parte ovest del paese, quella nei pressi del Rio, dove incombe il monte Revis.
La "roggia dei mulini" era il cuore produttivo del paese fino a mezzo secolo fa.
Lungo il Rio Rin si possono ancora vedere vari opifici un tempo adibiti a mulino, follo, fucina da fabbro, lanificio, segheria, oltre ad una delle prime officine per la produzione di energia elettrica.

LOZZO DI CADORE E LA ROGGIA DEI MULINI LUNGO IL RIO RIN

Lozzo di Cadore fu da sempre paese ricco d'attività artigianali, parte delle quali s'insediarono lungo le sponde del Rio Rin. Nel 1766 a Lozzo vi erano: dieci ruote da mulino da grani, una sega da legname, un follo da panni di lana, sedici  telari" da tela e cinque mole.
I vari opifici utilizzavano come fonte d'energia l'acqua del Rio Rin, per mezzo di una roggia che partiva dalla zona detta dei "Crepe Ros".
Alcuni di questi edifici, soprattutto quelli nella parte bassa dell' abitato, dove si trovavano la segheria comunale e quella dei Pellegrini, furono distrutti dall' incendio del 1867.
Nel 1886, come testimonia la guida di Ottone Brentari, lungo il corso del Rio vi erano cinque mulini e una sega. Qualche anno dopo, come riporta il "Registro dei contribuenti dell' imposta sui fabbricati" del 1° gennaio 1903, c'erano cinque mulini, una fucina, una sega, una bottega da fabbro e due folli da panni. Dopo la prima guerra mondiale furono costruiti altri opifici ad uso segheria e falegnameria e successivamente il lanificio dei fratelli Zanella, che sfruttavano l'energia elettrica fornita dall'officina per la produzione di energia elettrica dei fratelli Baldovin Carulli. Nella seconda metà del 1900 e in particolare in seguito all'alluvione del 1966, la maggior parte di questi opifici venne chiusa ed attualmente solo la centralina Baldovin Carulli del 1926, é tuttora in funzione con macchinari originali.
A Lozzo di Cadore, oltre agli opifici lungo la roggia, si svilupparono varie attività produttive che interessarono diversi settori: vi era la vecchia latteria in centro e quella più recente in via Padre Marino, la fabbrica di cucine economiche fondata da Calligaro Valentino Scott, una falegnameria e officina specializzata nella costruzione di carri di Da Pra Fauro Giuseppe. Rilevante per la storia del paese sono anche le vecchie case in stile cadorino, tra cui casa Zanetti, salvatasi dall'incendio del 1867, la chiesa sconsacrata di San Lorenzo, la chiesetta di San Rocco dell'arch. Segusini e il santuario di Loreto, le numerose fontane e lavatoi distribuiti lungo le strade e nei crocevia, oltre all'altopiano dei Pian dei Buoi, luogo d'alpeggio e con le sue fortificazioni, luogo di memoria della prima guerra mondiale. 

DIGA SUL RIO RIN

L'officina per la produzione dell' energia elettrica Baldovin Carulli sfrutta le acque del Rio Rin, captate da una diga di sbarramento situata in località Le Spesse.
La diga costruita nel 1926 era in tronchi di legno, aveva un altezza di 3,5 metri ed una larghezza massima di 13,30 metri. La condotta, che portava l'acqua sino alla centralina, era in gran parte in cemento, tranne che per l'ultimo pezzo in ferro, e superava un dislivello di 70,16 metri, per una lunghezza di 662,35 metri.

Nel 1946-47 la diga di legno venne sostituita da uno sbarramento in calcestruzzo, avente un' altezza massima di 8,76 metri, una larghezza massima di 18 metri e uno spessore in sommità di 0,8 metri.
Dalla diga parte una condotta forzata lunga 662,35 m.l., che porta l'acqua in pressione all'officina per la produzione dell' energia elettrica. Gli ultimi interventi effettuati sullo sbarramento risalgono al periodo successivo all'alluvione del 1966, che provocò numerosi danni, soprattutto alla condotta e alle opere di captazione e regolazione delle acque.

OFFICINA PER LA PRODUZIONE D'ENERGIA ELETTRICA BALDOVIN CARULLI

La ditta dei fratelli Baldovin Carulli aveva costruito nel 1915 una centralina in fondo al paese in località "Ronzie", su progetto dell'ing. G. De Zolt. Nel 1916 erano già state costruite le opere "...per derivazione d'acqua dal Rio Rin presso l'abitato di Lozzo di Cadore per produzione di forza motrice a scopo industriale e precisamente per lavorazione del legname…". In data 24 agosto 1926 il podestà comunicava ai fratelli Baldovin Carulli l'approvazione della "domanda per la concessione del permesso di passaggio con tubazione di cemento per la conduttura lungo la strada vicinale Spesse-Manadoira dell'acqua necessaria all'impianto di un'officina per la produzione dell' energia elettrica".
Il 20 novembre 1926 la ditta dei fratelli Baldovin Carulli aveva già presentato al presidente del R. Magistrato alle Acque il progetto del geom. Marco Baldovin per la realizzazione della conduttura dell' acqua lunga 662,35 m, del diametro di 30 cm e un salto di 70,16 m, per far funzionare i motori dell' impianto della centralina.
Nella centralina ci sono: una turbina Pelton tipo svizzero, n°53 con un getto ad ago; un regolatore di velocità e un alternatore trifase acquistati nel novembre 1926 dalla ditta "Officine - fonderie A. Pellizzari e figli", di Arzignano (Vicenza); una turbina Pelton, reostati e alternatore trifase acquistati nel maggio 1929 presso la ditta "Ercole Marelli e C.S.A."- filiale di Padova. I due gruppi turbina-alternatore hanno una potenza complessiva di 32,77 HP. Dalle concessioni d'acqua pubblica ad uso industriale della provincia di Belluno degli anni '30 risulta che i fratelli Baldovin avevano una concessione dal 26/06/1928 per anni 30. Nel 1958 per rinnovare questa, concessione la ditta Baldovin Giovanni fu Gaspare dovette ripresentare i rilievi dell' impianto idroelettrico sul Rio Rin "Le Spesse-Lozzo". L'alluvione del 1966 distrusse parte della condotta e la centralina rimase inattiva per qualche mese. Nel 1989 l'azienda Baldovin Carulli dovette rinnovare la concessione dell' acqua, ripresentando i rilievi dell' impianto effettuati dall'impresa Hydroenergy S.r.l. di Belluno. Le spese sostenute nell'anno 1928 per l'impianto dell'officina per la produzione d'energia elettrica furono pari ad un totale di £.225.207. Tra i costi maggiori vi erano: costruzione e trasporto di n.452 m di tubo in c.a. a £.96 il ml £.43.416; tubi in acciaio dagli stabilimenti di Dalmine Bergamo m 209,75 a £.160 il ml £.33.913; costruzione centralina in c.a. £.10.750; gruppo turbina alternatore Pellizzari £.33.027; gruppo turbina alternatore Marelli £.36.074; quadro di manovra £.1.920; costruzione linee del trasporto di energia compreso materiali £.40.500.
La centralina inizialmente serviva l'intero paese, mentre oggi fornisce energia elettrica a circa 200 utenti. L'acqua in uscita dalle turbine per mezzo del canale di scarico viene restituita alla roggia sotto stante che un tempo alimentava vari opifici.
 

MULINO DEL FAVERO

Il mulino, oggi di proprietà Del Favero, probabilmente esisteva già nel 1700. Su una tavoletta votiva donata per "Grazia ricevuta da Baldassare de fu Gerolamo de Mejo li 8 agosto 1764" vi è disegnato un mulino con tre ruote lignee, che con molta probabilità potrebbe essere quello di Del Favero.
Da quanto risulta dal Registro dei Contribuenti delle Imposte sui fabbricati del 1903, vi é un mulino al mappale n°2002 di proprietà di Baldovin Stefin Paolo fratelli e sorelle fu Gio Batta. Dalla "Pratica n°443, Piccola Derivazione, Ufficio Genio Civile di Belluno", si può apprendere che il mulino era di proprietà di Baldovin Gio-Battista Rosario, Dorotea-Maria e Da Pra Piazza Apollonia, che presentarono la domanda di concessione dell' acqua per un periodo di trent'anni, dal 1917 al 1947, per una potenza di 3,35 HP, ottenuta da un salto di 5,3 m. Prima del rinnovo della concessione il mulino apparteneva a Baldovin Stefinuto-Lucio fu Giovanni.
Nel 1947 fu richiesto un ulteriore rinnovo al Magistrato delle acque della durata di trent'anni, su progetto del geometra A. Larese, per una potenza nominale di 2,61 Kw, data da un salto di 7,6 m.
Nel 1977 venne ulteriormente rinnovata la concessione, con scadenza nel 2007, ma poi dichiarata decaduta nel 1993.
Inizialmente il mulino aveva tre ruote idrauliche lignee, due del diametro di 3 metri e una del diametro li 2,05 metri, che producevano una potenza pari a 3,35 HP, per mezzo di un salto di 5,3 metri, che azionavano due macine ed un pilaorzo. Le ruote idrauliche a cassette in legno vennero sostituite durante la seconda guerra mondiale da Baldovin Angela, Dorotea e Giovanni, con una turbina di tipo Pelton, come risulta dal progetto del geometra Valentino Masi di Domegge, del 31 maggio 1943. La turbina di tipo Pelton è ad asse verticale, del diametro di 2,6 metri, installata in un pozzetto circolare profondo 1,6 metri dal pavimento del locale seminterrato del mulino. La turbina sfruttava un salto di 7,6 metri, producendo una potenza nominale di 2,61 Kw, che serviva per azionare "...un palmento ed una molazza montati su un'incastellatura di legno a metri 1,10 dal pavimento...". In seguito all'installazione della turbina venne costruita una vasca di carico in cemento e al posto della roggia e dei canali in legno fu introdotto un tubo in cemento del diametro di 30 cm, direttamente collegato alla condotta di scarico della centrale elettrica dei fratelli Baldovin Carulli.
Al piano primo dell'opificio, nel periodo compreso tra gli anni 1920-50 circa, venne collocata una piccola tessitura a conduzione familiare. Il piccolo laboratorio era di proprietà di Baldovin Giovanni Lucio e di Baldovin Ezio. Per seguire la lavorazione venne incaricato Del Puppo di Cappella Maggiore, esperto dei processi lavorativi legati alla tessitura.

 
MULINO DA PRA E CALLIGARO

L'edificio oggi al mappale n°542 del NCT, era già presente nel catasto del 1830. Dal "Registro dei Contribuenti dell'Imposta sui Fabbricati" del 1903, risulta essere adibito per metà, corrispondente al mappale 1616, a follo da panni di proprietà di Da Pra Fauro Maria fu Gio Batta e per l'altra metà, mappale 2000, a fucina di Baldovin Stefin Giovanni, fu Gio Batta. Quest'ultimo, in seguito convertì la sua fucina in mulino. Da una "Domanda di riconoscimento antico diritto uso acqua del Rio Rin per uso industriale", datata 27 dicembre 1923, presentata all'Ufficio Genio Civile di Belluno, si può apprendere che l'edificio era adibito a mulino ed era diviso in due proprietà rispettivamente di: Baldovin Gaspare fu Mariano (la parte più a monte), e Baldovin Stefin Giovanni fu Giobatta (la parte più a valle). Come risulta da un disegno del 1923, l'acqua derivata dal Rio Rin, dopo aver azionato il mulino di Baldovin Stefinuto Lucio, per mezzo di una roggia lignea e di un salto di circa cinque metri, cadeva sulle due ruote in legno esterne dell'edificio, che azionavano i mulini di proprietà Baldovin Gaspare e Baldovin Giovanni. Il piano terra d'entrambi i mulini ospitava due macine da grano, mentre il piano superiore era di servizio ai mugnai. Nella parte più a valle del fabbricato venne aggiunto un piccolo corpo che ospitò per un periodo una fucina da fabbro. I due mulini presenti all'interno dell'edificio furono fra i primi, di quelli lungo la roggia, a cessare l'attività produttiva. Per quanto riguarda la parte più a valle, già nel 1933 la vedova di Baldovin Giovanni fu Gio Batta rinunciò al diritto di derivazione delle acque, anche a nome degli altri eredi.

 
MULINO "DEI PINZA"

Il mulino oggi detto "dei Pinza" è riportato in un documento datato 28 agosto 1846, in cui si fa riferimento ad una precedente divisione del mulino tra Lorenzo Zanella fu Gaspare, Gaspero Antonio Zanella e fratello fu Zambatista, avvenuta il 21 marzo 1810 per attestare le medesime condizioni cui sono soggetti i comproprietari dopo l'installazione di un nuovo mulino, da parte di Bernardino Zanella, che ha aggiunto un nuovo "canaletto" ai tre esistenti.
Nel 1903, come risulta dal "Registro dei Contribuenti delle imposte sui fabbricati", l'edificio ospitava due mulini: uno di proprietà di Zanella in Loda Gaspare e fratelli e sorelle fu Gio Batta e fratelli e sorelle fu Gaspare, e l'altro di Calligaro Bianco Lorenzo. Quest'ultimo, come risulta dalla domanda di concessione d'acqua ad uso industriale del 27 dicembre 1923, sfruttava un salto di 5,96 metri per produrre 3,7 HP medi nominali per azionare le macine da grano.
Nel 1923 l'acqua derivata dal Rio Rin, dopo aver azionato i due opifici più a monte, per mezzo di una roggia lignea e di un salto di circa sei metri, cadeva sulle quattro ruote in legno esterne all'edificio, che in questo periodo ospitava al suo interno due mulini, rispettivamente di proprietà degli eredi Zanella in Loda Luigi fu Gaspare e di Calligaro Bianco Argentina fu Lorenzo. Pur essendoci quattro ruote e altrettante macine da grano, due per ogni proprietà, solitamente ne veniva utilizzata una per mulino.
Dopo la seconda guerra mondiale all'interno del mulino venne collocata anche una piccola fucina da fabbro, dove si realizzavano oggetti in ferro a livello artigianale.
Il trapano e il soffietto per la forgia sfruttavano il movimento di una delle due ruote che azionavano le due macine da grano. Entrambi i mulini cessarono l'attività verso gli anni ' 50. Attualmente la parte più a valle é proprietà di Da Pra Teodolindo, figlio di Giovanni Da Pra Pinza, da cui il nome del mulino, e al suo interno rimangono le due macine e il trapano.
Sul lato sud-est vi era un altro edificio, di cui restano I solo le tracce dei muri perimetrali, di proprietà di Da Pra Costantino fu Giovanni, utilizzato come "Gualchiera", il come risulta dalla "Domanda di riconoscimento antico il diritto uso acqua dal Rio Rin per uso industriale", del 27 dicembre1923, Ufficio Genio Civile di Belluno. L'opificio, che già nel 1923 non aveva più la ruota idraulica funzionante, ospitava al piano terra l'apparato per la battitura e "digrassatura" dei tessuti; il meccanismo il utilizzava la metà circa dell' acqua dei due mulini a monte e sfruttava un salto di circa 3 metri.
In seguito alla costruzione della centralina Baldovin Carulli l'acqua utilizzata non veniva più derivata direttamente dal Rio Rin, ma l'opificio era alimentato dall' acqua di scarico della centralina.

ALTRI OPIFICI PRESENTI A LOZZO DI CADORE NEI PRESSI DEL RIO RIN

Nella parte più bassa della roggia del Rio Rin vi erano altri opifici. Come riporta il "Registro dei contribuenti dell'imposta sui fabbricati" del I° gennaio 1903, risalendo il Rio Rin ci si imbatteva dapprima nella segheria del Comune di Lozzo, poi nei due mulini di Baldovin Monego Giovan Battista Antonio, uno a sud ed uno a nord della strada principale, e poi via via in una bottega da fabbro, in una fucina, fino ad arrivare agli opifici in località Prou. Da un progetto del 1923 di "derivazione d'acque dal Rio Rin o Longiarin per produzione di forza motrice in servizio di sette mulini, di una gualchiera e di una segheria", risultano esserci nella parte più bassa del rio: un mulino, la segheria Comunale, la segheria Pellegrini. Un progetto del 1926 riporta l'officina Baldovin Lorenzo fu Mariano, il mulino di Baldovin Giovanni Monego, la segheria Comunale, la segheria Pellegrini Gio Batta ed in fine la centralina elettrica fratelli Baldovin.
Dal progetto del 1923 il mulino risulta diviso in due proprietà, parte di Calligaro Cian Giuseppe fu Giovanni, che aveva una ruota idraulica che azionava due "frantumatoi", uno per il granoturco ed uno per l'orzo, e parte di Baldovin Monego Giovanni fu Lorenzo che aveva tre ruote, che azionavano all'epoca due "frantumatoi"; entrambe le proprietà sfruttavano un salto di 6,5 metri.
La segheria Comunale aveva una ruota idraulica che fruttava un salto di 6,4 metri ed azionava al suo interno una sega alla veneziana.
Una porzione dell'acqua in uscita dalla segheria Comunale andava a servire la sotto stante segheria di proprietà dei Pellegrini, che sfruttava un salto di oltre 6,6 metri.
Dopo la prima guerra mondiale furono costruiti altri opifici ad uso segheria e falegnameria dei fratelli Baldovin Carulli e successivamente il lanificio dei fratelli Zanella, che utilizzavano l'energia prodotta dalla centralina idroelettrica Baldovin Carulli.

LANIFICIO FRATELLI ZANELLA

I fratelli Zanella iniziarono la loro attività durante la seconda guerra mondiale, attorno al 1942, prendendo in affitto il secondo piano dell' edificio adibito a segheria di proprietà della famiglia Baldovin Carulli. Le macchine per la lavorazione della lana erano state acquistate presso una ditta di Prato.
Alla fine della guerra costruirono un nuovo edificio nel quale venne trasferita l'attività a conduzione familiare, che cessò poco dopo la morte di Giuseppe Zanella, nel 1958 circa.
Il lanificio era un' azienda di tipo familiare e trasformava la lana grezza in lana filata.
La lana grezza al momento della consegna veniva pesata per determinare il corrispettivo quantitativo di filato e il compenso della lavorazione. La lana grezza giungeva dai piccoli allevatori non solo del Cadore, ma anche di Forni e Sauris.
Inizialmente veniva portata direttamente dalle donne che arrivavano alla mattina presto e aspettavano pazientemente per tutto il tempo della lavorazione. In seguito il signor Giuseppe ritirava e poi riconsegnava personalmente la lana ai fornitori.
La lana che veniva fatta filare aveva prevalentemente un uso domestico e per lo più si limitava ad un commercio locale.
Il deposito della lana grezza era nel seminterrato; da qui veniva smistata per ottenere i tre colori: nero, bianco e grigio. In seguito la lana veniva battuta nell'olio e poi pulita e pettinata in una macchina denominata "lupa". Da questa, passando attraverso una macchina a rulli, la lana pettinata usciva in fili grezzi che per mezzo di un telaio venivano torti e arrotolati su delle spole da cui il filato veniva tolto per fare la matassa pronta per la consegna. Cessata l'attività i macchinari vennero rivenduti.

FUCINA BALDOVIN MARIN LORENZO

La fucina Baldovin Marin Lorenzo fu Marino venne installata verso la fine del XIX secolo in un vecchio fabbricato; nel progetto presentato nel 1926 é segnata lungo la roggia derivata dal Rio Rin.
Il sig. Lorenzo, dopo un periodo d'apprendistato nella fucina degli "Spinotti" in località Ronzie a Lozzo, impiantò qui la sua attività, provvedendo personalmente a fare il carbone da utilizzare nella fucina, nel bosco di Ciampeviei, nei pressi di Col Negro.
L'officina sfruttava l'acqua derivata dal Rio Rin per mezzo di una roggia, che azionava la ruota esterna posta sul lato est dell' opificio.
Parte dei meccanismi di trasmissione erano stati costruiti dallo stesso Baldovin Marin Lorenzo. L'albero di trasmissione era collegato alle pulegge di legno posizionate, per la maggior parte, sotto il soffitto dell' officina. Tramite delle leve era possibile azionare uno o più macchinari presenti nella fucina: il trapano, la ventola, la fresa.
All'interno dell'opificio venivano realizzati vari oggetti d'uso quotidiano, utili per i lavori agricoli e per l'uso domestico. Baldovin Marin Lorenzo vi lavorò fino al 1930 circa, dopodiché la fucina rimase chiusa per vari anni, finché non venne affittata ad un fabbro di Lozzo.
Fino a poco tempo fa era ancora visibile parte della ruota, l'albero di trasmissione in ferro, che attraversa la muratura, tutta la serie di pulegge e cinghie collegate ai diversi macchinari che azionavano, vari attrezzi di notevole interesse storico-tecnologico, come i trapani, la forgia in pietra, la "mola smeriglio". La fucina venne venduta dagli eredi Baldovin Marin nel 1997; i nuovi proprietari l'hanno recentemente trasformata in abitazione.
L'opificio sfruttava una sua roggia, che aveva la presa poco sotto lo scarico dei mulini in località Prou. L'acqua in uscita dalla fucina confluiva poco sotto il mulino di Calligaro Cian e Baldovin, nel ramo principale della roggia che andava ad azionare la sotto stante sega Comunale. A Lozzo, all'inizio del XX secolo, oltre all'officina di Baldovin Lorenzo, ce n'era un'altra, di proprietà di Da Pra Fauro Giuseppe, specializzata nella fabbricazione dei carri e nel ferrare i cavalli.
Il maglio di questa officina era azionato da una roggia derivata direttamente dal Rio Rin, che aveva la presa poco sotto quella di Baldovin Marin Lorenzo.

SEGHERIA E FALEGNAMERIA BALDOVIN CARULLI

L'opificio Baldovin Carulli costruito attorno agli anni '20 dai cinque fratelli Baldovin Caruilli (Giovanni, Marco, Floro, Arcangelo, Mariano) in adiacenza alla loro abitazione, era sede di varie attività: vi era la segheria al piano terra e due falegnamerie ai piani superiori. Durante la seconda guerra mondiale il secondo piano venne affittato ai fratelli Zanella, che qui iniziarono l' attività della filanda. La segheria funzionò fino al 1955 circa, mentre le falegnamerie continuarono l'attività ancora per qualche anno.
L'edificio subì i danni dell'alluvione del 1966 e venne diviso, in seguito allo scioglimento della Ditta dei fratelli Baldovin Carulli, avvenuto nel 1948 circa, tra i vari eredi. I fratelli Baldovin Carulli avevano costruito sulla sponda destra del Rio Rin un'altra segheria, che aveva al suo interno una sega alla veneziana. La segheria sulla sponda sinistra del rio funzionava sia di giorno che di notte, producendo grandi quantità di travi, tavole e assi, parte delle quali venivano utilizzate nelle falegnamerie sovrastanti, dove si producevano mobili di vario tipo, serramenti e tapparelle, parte venivano immesse direttamente in commercio.
I macchinari utilizzati nelle segherie e nelle falegnamerie sfruttavano l'energia prodotta dalla centralina idroelettrica degli stessi Baldovin Carulli, inizialmente situata a valle dell'abitato, poi trasferita più a monte dov'é ancor oggi visibile.

MULINI AD ACQUA CENNI STORICI

L'invenzione di macchinari azionati da un impianto idraulico ha origini antiche.
Prima dei mulini ad acqua vi erano le macine girevoli, utilizzate dal mondo greco, poi in età romana, spesso azionate da animali o schiavi, e con molta probabilità già impiegate nel IV secolo a.C. La ruota idraulica, sia orizzontale che verticale, era già presente nel I secolo a.C. Il più antico mulino ad acqua utilizzato per la macinazione è quello a ruota orizzontale a palette o semicucchiaie, dove la trasmissione del moto attraverso l'albero verticale era diretta dalla ruota alla macina. Durante l'impero di Ottaviano Augusto (63 a.C. -14 d.C.), pur continuando a sfruttare la forza umana o animale, furono costruiti molti mulini ad acqua.
Verso la fine dell'Impero Romano d'Occidente, IV -V secolo d.C. il mulino ad acqua si diffuse largamente in Italia e in Gallia. Tra il VIII -X secolo d.C. (età Carolingia) il mulino si diffonde in Inghilterra e Germania, e solo dal XII secolo il mulino ad acqua è presente in tutta Europa.
Tra i primi scritti sui mulini e sul loro funzionamento vi sono quelli di Vitruvio, nel trattato De Architettura del 25 a.C., e quelli del poeta epigrammista greco, Antipatro di Tessalonica (40 a. C. -20 d.C.), che in un suo epigramma dell' Antologia Greca descrive, in modo leggendario, il funzionamento di un mulino, che anche in questo caso, come per quello descritto da Vitruvio, si tratta di un mulino a ruota verticale, più tarda di quella orizzontale.
Lo schema degli ingranaggi ortogonali descritto da Vitruvie rimase invariato fino ai nostri giorni. Il mulino a ruota verticale, a differenza di quello a ruota orizzontale, non ha una trasmissione diretta, dove ad ogni giro di ruota corrisponde un giro della mola superiore, ma attraverso l'utilizzo dell' ingranaggio detto "ruota dentata-lanterna", vi è la moltiplicazione dei giri, oltre alla trasformazione del movimento di rotazione verticale della ruota, in orizzontale della mola. La ruota verticale può essere colpita dall'acqua dall'alto, a metà o in basso, da cui derivano i nomi dei tre tipi di ruota idraulica, detta: "per di sotto", "per di sopra" e "per di fianco".

TIPI DI RUOTA IDRAULICA VERTICALE: PER DI SOTTO: la ruota gira per mezzo della spinta dell'acqua sulle pale immerse nella corrente. Questo tipo di ruota, detta a "palette", funziona con grandi volumi d'acqua costante; è presente nel mulino "Copekov" in Mala Polonia in Slovenia.
PER SOPRA: la ruota, detta a "cassetta", sfrutta il peso dell'acqua, che cade sopra le pale sagomate a cassetta. Questo tipo di ruota ha un più alto rendimento rispetto alla ruota "per di sotto", in quanto l'acqua non imprime solo il suo movimento, ma l'accompagna anche per parte della sua circonferenza. Questo tipo di ruota, adatta per grandi salti, non richiede grandi quantità d'acqua, ma che sia ben diretta e convogliata; è presente nei mulini a Lozzo di Cadore in Italia, nel "moulin du Got" di Limoges in Francia e nel "Chase-mill" in Bi- shop's Waltham nell'Hampshire in Inghilterra.
A META': la ruota viene colpita dall'acqua circa a metà altezza. Questo tipo di ruota si sviluppò in epoca più tarda rispetto alle precedenti ed ha un rendimento intermedio tra la ruota "per di sotto" e quella "per di sopra". La ruota colpita dall'acqua presso il centro è detta "di petto", se è colpita fra il centro e il piede è detta "di fianco". Questo tipo di ruota viene usato per piccoli dislivelli (fino a tre metri) e per acqua abbondante e variabile.

UTILIZZI ED INNOVAZIONI TECNOLOGICHE DEI MULINI AD ACQUA

Durante il Medioevo vi fu un notevole progresso per quanto riguarda l'utilizzo dell' energia idrica, vennero trovate nuove possibilità d'impiego della ruota idraulica, che andarono oltre la macinazione del grano. A partire dal IX secolo i sistemi conosciuti fin dall' antichità vennero applicati e adattati a nuovi tipi di macchine. In quegli anni sorsero con molta probabilità segherie ad acqua, magli da fucina, tomi, frantoi... In Francia tra il X e XI secolo vennero costruiti mulini per trattare le fibre vegetali e per follare i panni di lana. Nello stesso periodo venne introdotto il mulino che sfruttava le maree e quello a vento, utilizzato in Persia già dal VII secolo d.C., ma diffuso in Europa a partire dall'Inghilterra solo dal XII secolo.
Tra il XIII e XIV secolo vennero introdotti nuovi meccanismi mossi da mulini ad acqua, tra cui quelli per la produzione della carta, presenti in Italia, Francia, Germania; nel XVI secolo si diffuse la lavorazione della seta. Nel XVII secolo le ruote passarono da un diametro che andava da 1 a 3 metri sino a diametri di 2-4 metri, fino a raggiungere in alcuni casi anche i lO metri, con un notevole aumento di potenza. Nel XVIII secolo il mulino è utilizzato per molteplici applicazioni: macinare, follare, segare, pressare, forgiare, soffiare, tritare, pompare... e altrettante lavorazioni: molitura dei cereali, spremitura delle olive, lavorazione dei tessuti, nelle segherie, nelle fucine, nelle miniere e nelle cave, nell' industria cartaria, nella metallurgia, conceria, idraulica e tant' altro. Per trovare altri cambiamenti significativi, per quanto riguarda la macinazione dei cereali, bisogna giungere quasi sino ai giorni nostri. Tra il XIX e XX secolo vennero introdotti dei cambiamenti per quanto riguarda il materiale di costruzione dei vari elementi, parti in legno vennero sostituite da elementi in metallo, al meccanismo "ruota dentata-lanterna" venne sostituita la trasmissione a cinghie, l'evoluzione delle ruote verticali ed orizzontali porta all'invenzione delle turbine, e l'energia prodotta dall' acqua venne in alcuni casi prima sostituita dal I vapore e poi dall' elettricità.
Anche per quanto riguarda il tipo di pietra utilizzato per le mole vennero introdotti dei cambiamenti, sempre più spesso venivano impiegate macine di quarzo, più dure, che garantivano un miglior risultato, o mole realizzate dall'insieme di pezzi di qualità diversa. Alcune tra le pietre migliori, esportate non solo in Europa, erano quelle provenienti da La Fertè e Epernon vicino a Parigi.
I cambiamenti via via apportati migliorarono il funzionamento dei macchinari e ridussero i tempi di lavorazione, ma non cambiarono la tecnica. Solo nella seconda metà del 1800 vennero introdotti i mulini a cilindri, che utilizzavano un principio diverso da quello delle due mole sovrapposte, dando una svolta al vecchio sistema molitorio. In questo breve accenno sull' evoluzione e sul diverso utilizzo delle macchine idrauliche rientrano e si collocano in determinati ambiti i mulini della "Roggia dei mulini" di Lozzo di Cadore in Italia, "Copekov rnlin" in Mala Polana in Slovenia, "Le moulin du Got" di Limoges in Francia e "Chase-mill" in Bishop's Waltham nell'Hampshire in Inghilterra. Il "Copekov rnlin" in Mala Polana, assieme al mulino detto "dei Pinza" e il "mulino Da Pra e Calligaro" lungo la "Roggia dei mulini" a Lozzo di Cadore si possono far risalire al tipo di mulino descritto da Vitruvio. I mulini infatti presentano ruote idrauliche verticali in legno, quella di "Copekov mlin" è del tipo a pale, colpita dal basso, mentre quelle a Lozzo di Cadore sono a cassetta del tipo "per di sopra", i meccanismi di trasmissione sono in legno e i macchinari utilizzati per la molitura sono simili anche nei dettagli. "Le moulin du Got", utilizzato per la produzione della carta, fa parte di quei numerosi opifici che si sono sviluppati a partire dall'età medievale, applicando il principio di funzionamento del mulino da cereali per altri fini produttivi. Mentre "Chase-mill" in Inghilterra, assieme al "mulino Del Favero" e all' "Officina per la produzione d'energia elettrica Baldovin Carulli" a Lozzo di Cadore, rientrano nell'ultima fase di cambiamenti e modifiche apportate ai mulini, avvenute tra il XIX e XX secolo. Il "Chase-mill" che risale al 1830 circa, presenta grandi ruote idrauliche in metallo, anche i meccanismi di trasmissione sono in gran parte in metallo. Le vecchie ruote a cassetta vennero sostituite da una turbina di tipo Pelton nel "mulino del Favero" e l'acqua all'interno della "centralina Baldovin Carulli" non è utilizzata per macinare cereali, bensì per la produzione d'energia elettrica.

LE MACCHINE IDRAUICHE LUNGO IL RIO RIN A LOZZO DI CADORE

Le macchine idrauliche sono azionate dall' acqua che viene captata per mezzo d'argini curvi o rettilinei, costruiti in sassi, tronchi od assi lungo il corso dei fiumi o torrenti. La briglia può sbarrare totalmente o solo parzialmente il corso d'acqua, in entrambi i casi comunque serve ad innalzare il livello dell'acqua. La portata (quantità) d'acqua necessaria agli opifici viene derivata e incanalata. La regolazione del deflusso dell' acqua, dal corso naturale al canale di derivazione, viene fatta da una "paratoia", saracinesca di legno, sollevata o abbassata per mezzo di meccanismi a vite oppure attraverso l'uso di un piccolo argano. Il canale detto anche "roggia", "roja" o "gara" riceve l'acqua dalla chiusura artificiale (presa) ed attraverso un percorso più o meno articolato, indirizza l'acqua fino alla ruota idraulica. I tipi di canali più frequenti sono: una semplice trincea scavata nel terreno con gli argini rivestito in muratura a secco, oppure, un canale con tavole di legno sostenuto da un impalcato sempre ligneo. Quest'ultimo tipo si trova soprattutto dove vi sono forti dislivelli da superare ed in prossimità degli edifici entro cui sono collocate le varie macchine idrauliche. Nel tratto finale la roggia si allarga e si divide in due o più "docce". Se la ruota idraulica non dev'essere azionata, l'acqua viene deviata lateralmente da una serranda in legno lungo il canale, "scaricatore", che viene alzata o abbassata secondo le esigenze. Lungo il canale di carico vi è anche uno "sfioratore", che serve a far tracimare l'acqua al di sopra di un determinato livello massimo stabilito. L'acqua dopo essere stata divisa nelle quantità volute viene convogliata in un canale di legno inclinato, "doccia", che dirige l'acqua a riempire le cassette o a colpire le pale a seconda del tipo di ruota idraulica. VIsti i forti dislivelli presenti lungo il Rio Rin, il tipo di ruota idraulica più utilizzato era quello "per di sopra", detto a "cassetta", che sfrutta il peso dell'acqua e gira in senso inverso rispetto agli altri due tipi ("per di sotto" e "a metà").

SISTEMA MOLITORIO ELEMENTARE

All'interno del mulino solitamente vi è una struttura di tronchi molto robusti detta "castello" o "palco", che sostiene nella parte inferiore i vari ingranaggi: l'albero di trasmissione della ruota idraulica con il "lubecchio" (ruota ortogonale all'albero detta anche "ruota dentata") e "l'ingranaggio a lanterna" (o "rocchetto"). Nella parte superiore del "palco", sopra ad un pavimento ligneo vi sono le macine, la tramoggia ed a volte il pilaorzo e l'argano per la rimozione delle macine. Se all' interno del mulino vi era una macina ed un pilaorzo, esternamente vi erano due ruote, in quanto una delle due seviva esclusivamente al pilaorzo; un'unica ruota tuttavia poteva muovere più macine.
Il meccanismo lubecchio-rocchetto ha permesso, grazie al numero di denti diversi, di far ruotare la macina più volte rispetto ad un unico giro di ruota. Sul "palco" vi è un sistema a leva ("temperatoia") attraverso la quale si modifica la posizione dell' ingranaggio a lanterna e di conseguenza quella del palmento superiore, alzandolo od abbassandolo.
Questo movimento verticale permette di modificare la distanza fra le due facce interne dei palmenti e quindi di variare il tipo di macinato.
Ogni macina è costituita da due "palmenti" o "mole", grosse pietre di forma circolare sovrapposte, di notevole peso e diametro.
Il palmento inferiore fisso, appoggiato sul pavimento del "castello", presenta la faccia superiore leggermente convessa con un foro al centro, attraverso cui passa l' asse di ferro che sorregge la "nottola" (pezzo di ferro che regge e fa girare la mola superiore).
Il palmento superiore mobile, presenta un foro al centro e nella faccia inferiore, leggermente concava, l'impronta negativa della nottola.
Attraverso il foro centrale viene fatto scendere dalla "tramoggia"" (cassetta di forma quadrangolare, che si restringe ad imbuto verso il basso) il grano, che per mezzo del movimento della mola superiore viene sgretolato e ridotto in farina. Una cassa lignea, costituita da una fascia di legno e un coperchio, racchiude la mola superiore e quella inferiore, in modo da evitare la fuoriuscita della farina quando la macina è in movimento. Il coperchio presenta un' apertura in corrispondenza del foro centrale del palmento mobile, attraverso cui viene introdotto il grano da macinare. Altro accorgimento che venne adottato per ovviare alla fuoriuscita della farina dai bordi, fu quello di rialzare il bordo esterno del palmento inferiore, tranne che per un breve tratto, da dove cadeva la farina macinata e veniva raccolta in apposito contenitore. La faccia superiore del palmento fisso e quella inferiore del palmento mobile lavorando si logoravano, per questo il mugnaio periodicamente doveva smontare le macine e risistemare le superfici, "batter la mola", altrimenti la resa diminuiva e il macinato aumentava di grossezza, a scapito della farina più fine. All' interno del mulino Del Favero vi è, oltre alla macina per il grano, il "pilaorzo" o "pestino a mole". Il pilaorzo è costituito da un contenitore circolare in pietra, di porfido o granito, avente la parte centrale rialzata e forata, entro cui vi è inserito un albero che presenta a livello del contenitore un asse orizzontale regolabile, alle cui estremità sostiene due "mole" folli. Perpendicolarmente all' asse delle due mole, vi era un altro asse che sosteneva ad una o ad entrambe le estremità una lama in ferro, "raschiatoio". Il pilaorzo veniva utilizzato per la macinazione del miglio e dell' orzo, i quali venivano versati sul fondo della vasca di pietra. Azionando il sistema, l'albero e quindi le due mole iniziavano a girare in modo lento e regolare, il movimento delle due mole dava come somma un rimescolio elicoidale ai grani da pestare, ulteriormente spostati dal "raschiatoio". I vari movimenti e gli urti contro le pareti della vasca portavano alla brillatura finale.


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